“Nessun uomo è un'isola”: il significato della poesia di John Donne (2024)

La celebre frase “Nessun uomo è un’isola” (No man is an island, nell’originale, Ndr) è tratta da un verso della lirica Meditazione XVII (Devotions Upon Emergent Occasions, Ndr) (1624) scritta dal poeta inglese John Donne (Londra, 1572 – 1631).

Il componimento è oggi reperibile in italiano nel volume Devozioni per occasioni di emergenza (Editori Riuniti, Roma, 1995).

“Nessun uomo è un'isola”: il significato della poesia di John Donne (1)

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Nella sua peculiare “poesia-sermone” John Donne, chierico e poeta, teorizzava un concetto complesso, parlando del singolo individuo come parte universale di un tutto.

Il pensiero di Donne fu poi ripreso da Ernest Hemingway in Per chi suona la campana (1940) nell’epigrafe che esplicitava la spiegazione del titolo del romanzo.

La citazione di Hemingway e la fortuna del libro certamente contribuirono ad alimentare la fama di Donne, favorendo la conoscenza del poeta cinquecentesco presso le nuove generazioni.

Nel 1955 la stessa espressione fu ripresa dal maestro spirituale Thomas Merton che la utilizzò come titolo del suo libro-saggio di stampo filosofico-religioso che si configura come una riflessione sull’esistenza.

“Nessun uomo è un'isola”: il significato della poesia di John Donne (3)

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La frase di John Donne ancora oggi sembra presentarsi come un mistero: un enigma, in realtà, di facile soluzione ma dall’efficace forza rappresentativa.
La metafora utilizzata dal poeta cinquecentesco è ormai entrata nel linguaggio comune ed è scolpita nelle nostre menti come una certezza ineludibile: Nessun uomo è un’isola, una verità sociologica e antropologica, talmente inoppugnabile da diventare un assioma scientifico.

Scopriamo il testo completo della poesia di John Donne e il suo significato.

Nessun uomo è un’isola: testo

Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
la Terra ne sarebbe diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per te.

Nessun uomo è un’isola: significato

I versi di John Donne sono fortemente evocativi e sembrano promulgare una verità universale che non risente del trascorrere del tempo.
Le sue parole sono un efficace antidoto contro la solitudine. Con la sua frase metaforica il poeta inglese implicitamente afferma: “Non sei solo, isolato, dal momento che tu esisti.”
Tramite la sua metafora Donne intesse un correlazione suggestiva invitando a vedere la singola esistenza come parte di un tutto. Ogni vita umana, per quanto piccola e insignificante, è una componente dell’umanità e, in quanto tale, è connessa a ogni frammento dell’esistenza tramite una rete di vibranti concatenazioni.

I versi di Donne nel corso dei secoli sono stati oggetto di mutevoli interpretazioni dal punto di vista culturale e sociologico. Le parole assumono infatti diverse sfumature soprattutto oggi che la nostra società sembra essere sempre più frammentata e votata all’isolamento. L’individualità fa da padrone nella vita contemporanea ed ecco che allora la citazione di Donne suona come un ammonimento. Viviamo in una società globalizzata eppure malata di solitudine, in cui la comunicazione si trasforma in monologo e non in conversazione. Siamo tante piccole isole sparse che non si rendono nemmeno conto di essere parte dello stesso arcipelago, che difendono i propri confini con orgoglio e furore.

John Donne invece esprime un messaggio solidale nei confronti dell’umanità tutta:

La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce.

dice, rendendo così ciascuno di noi partecipe di una dimensione maggiore che non ci comprende solo in quanto individui, ma come specie.
I versi del poeta inglese nascondono un appello alla solidarietà: un sentimento umano dal valore sconfinato del quale siamo tuttavia sempre più poveri. La sofferenza di ogni singolo uomo, sembra dire Donne, è la sofferenza dell’intera specie. L’isola ferita, che perde una zolla di terra, è una diretta allusione a tutti i dolori, le torture, i soprusi che ogni giorno l’umanità è costretta a scontare come una pena.
L’espressione di John Donne sottintende quindi un insegnamento molto cristiano: Ama il prossimo tuo come te stesso, ma lo afferma con un’allusione poetica, forse più laica, che è assurta alla dignità della grande letteratura.
Non vi è nulla lasciato al caso nella lirica-sermone di Donne. La parola “uomo” viene citata più volte in una significativa ripetizione anaforica che pare espanderne il significato.

La poesia, in fondo, riprende in modo limpido e sincero i concetti di “uguaglianza” e di “fraternità”. Una lezione che apprendiamo fin da bambini e che dovremmo sempre custodire come valore-guida.

Il verso finale Per chi suona la campana fu ripreso da Hemingway nell’ omonimo romanzo del 1940 per ribadire la necessità di pensare alla morte in guerra come alla morte di fratelli. Il riferimento dello scrittore americano si allacciava strettamente al proprio tempo, drammatico, alla catastrofe umanitaria della guerra. Ogni volta che suona la campana annunciando un caduto, l’umanità ha perso un pezzo: un fratello, un figlio, un amico. La morte di ogni uomo corrisponde anche alla nostra stessa morte.

Nessun uomo è un’isola: commento

La meditazione di John Donne ci invita all’empatia, all’essere umani e comprendere, sempre, il dolore altrui e non esserne indifferenti. Le parole di Donne si fanno strada nel cuore come una verità immortale, che forse abbiamo sempre saputo ma poi, inavvertitamente, dimenticato, perché non ci invita soltanto ad amare i nostri simili e a essere compassionevoli, ma ci ricorda di vedere noi stessi - la nostra, a volte sofferta, singolarità - come parte di un insieme.

John Donne tramite l’affermazione “Nessun uomo è un’isola” ci ricorda che il mondo ha bisogno anche di noi. E, soprattutto, ci rammenta cosa voglia dire essere uomini e la necessità di restare umani. Questo secondo appello spesso, travolti dalla “solitaria folla” alimentata dalla società della performance, lo dimentichiamo.

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